Con il regolamento UE N. 300/2013 del 27 marzo 2013 l’UE ha autorizzato gli Stati membri ad importare prodotti alimentari a base di latte di camelidi (Camelus dromedarius), modificando così la precedente normativa ovvero la n. 605/201.
Ma perchè importarlo se possiamo produrlo? Sarà stato questo il pensiero di Santo Fragalà, giovane veterinario catenese e imprenditore agro-zootecnico di “Gjmàla” prima azienda in Italia a produrre latte di dromedario. L’allevamento si trova alle pendici dell’Etna, precisamente presso contrada Ronzini del comune di Trecastagni (CT), una zona ideale grazie al particolare microclima che la contraddistingue rendendola molto simile alle terre di provenienza del dromedario, ovvero l’Africa del Nord, la penisola Arabica e l’Asia minore. Attualmente l’azienda comprende tre esemplari della famiglia Camelideae, di cui due femmine (Jasmine e Carmen) ed un maschio (Mustafà). Gjmàla è solo il secondo allevamento per la produzione di latte in Europa.
Il latte di dromedario presenta alte concentrazioni di vitamina C e sali minerali, è povero di zuccheri, non coagula naturalmente quindi è più digeribile e nel complesso ha una percetuale di acidi grassi saturi leggermente più bassa (2,5-3,5%) rispetto a quello vaccino (3,25-3,70%).
La scelta politica ed economica dell’Europa di aprire il mercato al latte di dromedario scaturisce discordanti pareri tra i veterinari. In un momento di crisi come quello che sta investendo le aziende agro-zootecniche italiane tradizionali, presentare concorrenza tra i banconi dei supermercati potrebbe diminuire i già bassi profitti degli imprenditori. Inoltre quello che desta maggiore preoccupazione è l’esposizione dei dromedari (come tutti gli artiodattili) al virus ad RNA dell’afta epizootica, trasmissibile con il latte e che nel nostro Paese è debellata.
Via | anmvioggi